Da Terra di Bari a Città Metropolitana, Immagini del Territorio
Vi racconto oggi dell’inaugurazione della mostra “Da Terra di Bari a Città Metropolitana. Immagini del territorio”, Pinacoteca Metropolitana di Bari, 12 dicembre 2015-30 aprile 2016.
E provo un’emozione del tutto particolare durante la stesura di questo post: nel corso l’inaugurazione della mostra, in una sala gremita, attenta e interessata, si è parlato di Francesco Netti e della “Sua Santeramo”.
Quella “Sua Santeramo”, dalla bocca di Clara Gelao (monumento vivente per chi ha studiato storia dell’arte negli ultimi anni in Puglia e Basilicata), mi ha resa orgogliosa di essere lì, di poter comprendere fino in fondo cosa fosse “quella” Santeramo; sono stata fiera di essere anche io figlia della comunità che ha espresso Francesco Netti e Bartolomeo Paradiso, sensibilità artistiche pure e rare nel panorama pugliese otto-novecentesco.
Ma partiamo dall’inizio.
La mostra, costituita da 125 opere, si basa su elementi provenienti esclusivamente dalla Pinacoteca Metropolitana, alcuni recuperati da deposito per l’occasione (e quindi non normalmente fruibili).
Prima mostra ufficiale dell’era “Città Metropolitana”, questo evento nasce soprattutto dalla volontà di operare un recupero dell’identità culturale della “Terra di Bari”, depauperata nel corso degli anni, privata di numerose città e territori.
La “Terra di Bari” (con capoluogo Trani), infatti, nasce nel 1584, quando viene “staccata” dalla “Terra d’Otranto”.
E dal 1584 fino al 2004, cioè alla nascita della provincia di Barletta-Andria-Trani, mantiene praticamente la stessa conformazione. Si tratta perciò di una provincia compatta; ma con una struttura binaria: da una parte le città costiere, demaniali, e dall’altra le città interne, feudali.
L’intera provincia, sin dall’inizio, è caratterizzata da numerosi centri urbani di notevole importanza; a partire dal XVIII secolo, però, questo “policentrismo” inizia a venire meno per la crescita dell’importanza di Bari.
Il cambiamento ufficiale si ha nel 1806: Giuseppe Napoleone è sul trono di Napoli quando viene stabilita la nascita della provincia, e con nuovo capoluogo: Bari. Bari perché è ormai una realtà dinamica, con fiorenti traffici commerciali via mare, tassi di urbanità molto elevati. Su Bari convergono tutte le nuove strade costruite dai Borboni; e le altre città della provincia riconoscono la superiorità della città di San Nicola.
Nel 1860 nasce il Regno d’Italia e Bari deve ri-orientare i suoi rapporti coi centri importanti, con la nuova capitale ma non solo; la Ferrovia Adriatica negli anni ’60 arriva a Bari: il Sud deve essere connesso coi grandi traffici commerciali dell’Italia Settentrionale. Ferrovia significa stazione, significa sviluppo dell’edilizia.
Negli anni ’80 dell’800 il Regno d’Italia comincia a guardare a Est: tocca a Bari essere il fulcro di una serie di iniziative per collegare l’Italia a Levante.
E’ una crescita che non conosce sosta, quella di Bari, che nel 1911 arriva a contare oltre 100.000 abitanti: inizia a porsi come testa della Regione. E sarà a questo punto che si inizierà a parlare di Puglia, piuttosto che di Puglie.
Oggi, invece, assistiamo ad un processo opposto, alla deurbanizzazione della città. Crescono i centri dell’interno, diventano sempre più popolosi; si attua una dematerializzazione operativa, quindi i flussi di lavoro possono allontanarsi dal centro-Bari in favore della provincia; si assiste, insomma, ad una grande inclusione delle aree interne.
Questa mostra, attraverso il patrimonio della Pinacoteca, vuole illustrare i cambiamenti dell’identità del territorio di Bari dal 1860 al 1960.
Come dice Clara Gelao, “ogni paesaggio ha i suoi cantori”.
Fino all’avvento di Giuseppe De Nittis (soprattutto nella sua fase giovanile), un vero e proprio paesaggio pugliese non esiste. Di lui, in questo contesto, possiamo ricordare i dipinti sull’Ofanto, risalenti al 1865-66.
Esistono poi paesaggi che solo anime particolarmente sensibili possono rappresentare. Uno di questi paesaggi è la Murgia. E’ qui che si inserisce Francesco Netti, precursore –insieme a De Nittis- del filone dei paesaggisti pugliesi. Precursore perché nei suoi quadri il paesaggio non è l’oggetto principale della rappresentazione ma ne è lo sfondo. Netti amò molto rappresentare Santeramo e le sue attività agricole, oltre che splendidi scorci cittadini.
Il paesaggio pugliese acquista invece autonomia all’inizio del ‘900 con un pittore che per me è stato una grande scoperta; un artista di una prolificità sterminata, sul quale la mostra sostanzialmente si basa: Damaso Bianchi.
Altro artista che si colloca nel filone è Enrico Castellaneta: nativo di Gioia del Colle, si forma artisticamente a Napoli, con Morelli e Palizzi come insegnanti. Tornato in Puglia nel 1906, in realtà non riuscirà mai a scrollarsi di dosso la formazione napoletana.
Il primo vero paesaggista pugliese, l’inventore vero e proprio di questo genere, è un altro gioiese: Francesco Romano. Queste le sue parole: “Come vedi, io ho avuto un’idea ardita e bella: creare nella pittura italiana un “paesaggio pugliese”. La dimora forzata in Gioia del Colle mi ha spinto a considerare la nostra campagna e vi ho scoperto tesori d’ispirazione. Per ben sette anni mi sono esercitato a copiare pianure, murge, burroni e sovra tutto mi sono adoperato di chiudere nei miei pastelli la finissima atmosfera dei nostri cieli quasi orientali; i miei quadri devono essere quadri di luce, perchè le nostre Puglie sono il paese della luce.”
Romano si sofferma quindi, per la prima volta, sulla rappresentazione della Murgia, vuole introdurla nella storia dell’arte.
La mostra si chiude con tre opere che rappresentano il folklore del territorio di Bari. Tre opere. La prima è una splendida tela di Raffaele Armenise, del 1920, “Ritorno dalla festa di San Nicola a Bari”, in cui luce, colori e festosità raggiungono chi sta guardando il quadro come se l’evento stesse avvenendo in quell’istante davanti ai suoi occhi.
E poi, mi emoziona scriverne, il bellissimo “Venerdì Santo” di Bartolomeo Paradiso e il “Corteo nuziale” di suo figlio Hero. Opere che conosco da sempre, dalla più tenera infanzia, ma al cospetto delle quali, dal vivo, mi sono trovata per la prima volta.
Ed è una cosa completamente diversa: è straordinario ma i colori che, soprattutto Bartolomeo, ha saputo esprimere, sono qualcosa che una stampa non rende nemmeno lontanamente. La brillantezza dei colori è eccezionale, la pennellata pure. Bartolomeo ha viaggiato molto e ha sicuramente visto e studiato Van Gogh, ha visto Corot, Millet. Certamente. Perché in tutte le sue opere esposte a Bari questo è evidente, per chi ha una base di nozioni di storia dell’arte.
E vedere e sentire la MIA Santeramo (mia oltre che di Netti e dei Paradiso) accostata a questi nomi della grande storia dell’arte europea mi ha colpita. Essere circondata da gente ammirata per i colori dei Paradiso e poter dire “Sì, queste sono le strade di Santeramo, queste strade io le conosco, le ho fatte, le ho vissute” mi ha veramente riempita di orgoglio.
Per quello che vale, chiedo a chi amministra Santeramo e a chi lo farà in futuro di dare a questi grandi artista la visibilità che meritano. E’ incredibile che la loro città natale li dimentichi in questo modo.
Per il resto, consiglio ovviamente a gran voce di visitare questa mostra. Oltre che l’intera Pinacoteca che, forse in pochi lo sanno, custodisce opere di artisti del calibro di Tintoretto, Paris Bordon, Luca Giordano, Paolo Veronese, Giovanni Bellini, Bartolomeo Vivarini, Telemaco Signorini, Vincenzo Irolli, Domenico Morelli… Siateci, osservate, partecipate. “La bellezza salverà il mondo”.