La bolla e cos’è per me

La bolla e cos’è per me

24 Febbraio 2019 2 Di studiolobarese

Ci sono emozioni talmente particolari che si fa fatica a metterle per iscritto; e tante volte, infatti, ci rinuncio: quasi sempre perché non so se sarei in grado in tradurle in parole, vivono in angoli della mia testa sotto forma di nebulose confuse e, certe volte, mi piace che rimangano solo lì.

Sono, poi, forme di emozione che capita di provare abbastanza di rado: è normale, poi, essere davvero impreparati a condividerle.

E, in perfetta coerenza con questa premessa, mi trovo ora in serie difficoltà davanti a questo foglio. Ma è, adesso, più forte la voglia di sapere se anche a qualcuno dei miei pochi lettori (no, non è una citazione manzoniana) succede quello che sto per raccontare.

Ho deciso di chiamarla, perché così mi sembra più consono, la “sensazione della bolla”; e mi ricordo il momento preciso in cui ho deciso che si sarebbe chiamata così: mi trovavo, non molto tempo fa, a Norimberga, città tristemente carica di eredità storica novecentesca; un passato di cui questa città sembra costantemente volersi scusare.

Esiste a Norimberga, un grande, immenso, meraviglioso museo che si chiama Germanisches Nationalmuseum: un museo ricchissimo che racconta la storia della Germania dalla preistoria ad oggi; davvero una pietra miliare per la Cultura di Norimberga e della Germania tutta. La cosa bellissima è che mi sembra che Norimberga abbia voluto ricominciare proprio da qui, dopo l’orrore della prima metà del secolo. La strada che conduce all’ingresso del museo oggi è conosciuta come la “Via dei Diritti Umani”: questa strada, alla quale si accede tramite un arco di trionfo moderno, è un’installazione dell’artista israeliano Dani Karavan, con 27 grandi colonne di cemento che custodiscono articoli della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, in tedesco e in altre lingue. Percorrere questa strada a piedi, leggere, riflettere, ricordare è un’esperienza forte. Molto forte.

Si arriva poi all’ingresso del museo che, tra le altre cose, risponde a tutti i più moderni dettami di accoglienza al visitatore. Dopo aver visitato per tutta la mattina una parte delle sale, ho deciso di concedermi una pausa al ristorante del museo che si trova al piano interrato. Una parte del soffitto del ristorante, però, è costituita da vetrate. Vetrate che danno proprio…sulla Via dei Diritti Umani.

Ecco, la sensazione della bolla che volevo trasmettervi provo a raccontarla ora: ero seduta ad un piccolo tavolo, davanti a me una calda zuppa tedesca e un vasetto con un tulipano arancione, lo stelo verde e vivido e i petali di fuoco. Sopra di me la vetrata, che lasciava indovinare una meravigliosa giornata di sole. E i raggi che arrivavano direttamente sulle mie mani. Sopra di me, vedevo persone che camminavano lentamente e con una riverenza ed un rispetto enormi si fermavano a leggere gli articoli della Dichiarazione sulle colonne della Via dei Diritti. Intorno a me, gli altri avventori del ristorante, tra il sole delle vetrate e i sorrisi, mangiavano o sorseggiavano caffè leggendo cataloghi del museo o chiacchierando serenamente. A pochi passi da me, o a pochi piani di ascensore, un enorme patrimonio artistico che è la nostra Storia ma anche il nostro Futuro. Sì, essere circondata, sopra e intorno, mi ha dato la sensazione di essere in una bolla. O in una specie di grembo materno all’interno del quale giunge solo il meglio, il bello di tutto. E tutto il brutto rimane fuori. Insomma, lì non c’era spazio per qualcosa di negativo. Intorno a me tutto parlava di Bellezza, di Attenzione. Tutto, lì, era la dimostrazione che siamo capaci di grandissime imprese, Umane prima di tutto, e poi Artistiche.

Io non so se riesco ad esprimerlo, non lo so davvero, molto probabilmente no: però posso garantirvi che la carica emotiva che mi porto dietro di quel luogo è immensa e forse è una sensazione che non dimenticherò mai più.

Un respiro profondo, ora. E torniamo a noi.

Un’emozione molto simile l’ho provata ieri sera, ed ecco perché questo post, alla prima della “Madama Butterfly” al Petruzzelli. Non mi dilungherò su racconti circa virtuosismi degli artisti sul palco, dell’orchestra, circa gli allestimenti, i costumi: a sembra sempre tutto meraviglioso e comunque lascio questo compito a chi davvero ha voce in capitolo per parlarne. Io sono una semplice fruitrice dell’Opera che però ha, penso, il compito di riportare quello che al pubblico arriva. Il buio del teatro aiuta tantissimo a focalizzarsi sulle emozioni; c’è stato un momento, tra la prima e la seconda parte del secondo atto, in cui -sipario chiuso- l’orchestra ha magistralmente “raccontato” la notte di attesa di Cio-Cio-San per l’arrivo dell’amato Pinkerton. Chi conosce un po’ la trama della Madama Butterfly ne conoscerà l’epilogo, il dramma. Ebbene, questa parte solo musicale, che racconta l’angoscia, mi è arrivata dritta al cuore, la strada spianata. Non entro troppo nel dettaglio di ciò che tutto questo mi ha suscitato, però, in quell’istante, ho vissuto di nuovo nettamente la sensazione della bolla.

Il Teatro che accoglie lo spettatore come un figlio, come in un enorme grembo. E gli offre tutto quanto di meraviglioso una Madre può. Ieri sera, lì, tutto era Inizio e Fine. Il buio, la musica, le emozioni.

Vi lascio qui. Alla prossima.