Tracce di storia nel dialetto
Premessa.
Quando avevo 15 anni, e mi trovavo a Londra durante il mio primo viaggio da sola, una mia coetanea in vacanza-studio con me mi disse “A te interessano cose di cui non frega niente a nessuno”. Con evidente disprezzo.
Bene. Mi piacevano cose di cui non interessava niente a nessuno. A distanza di 17 anni devo constatare che nulla è cambiato.
Ma va bene, questo blog esiste anche per questo 🙂
Fatta questa prima -doverosa- premessa, continuo dicendo che fin da bambina mi diletto in questa strana attività: ricerco nel dialetto (quello che conosco, murgiano prima e barese poi) tracce di lingue passate, di dominazioni subite, di termini desueti. Insomma, cose così. E questo mi ha sempre appassionato tantissimo, quasi inspiegabilmente direi.
Facile ritrovare nel mio dialetto termini spagnoli e francesi, siamo stati dominati per secoli. Facile pure ritrovarvi il latino, spesso anche in forme inesistenti in italiano.
Ma pochi giorni fa ho scoperto un filone (per me) nuovo.
Il tutto è partito dalla lettura di una parola del dialetto foggiano per indicare il nonno: papanonno. Quel “papa” sembra quasi un rafforzativo: ebbene potrebbe derivare dal termine greco per nonno, pappos.
Per indicare il papà, invece, i Greci utilizzavano confidenzialmente “ATTA“.
Non vi dice niente “atta“? Certo che sì, in dialetto barese il papà è “u attàn“. Che niente ha a che vedere col latino pater.
Quindi in questo caso il greco arriva dritto dritto a influenzare la lingua delle origini.
“Atta” è anche interessante in quanto forma particolare di “tata“: so che tata si usa a Roma e in altre zone d’Italia nel linguaggio infantile. Ma tata è in realtà diffuso in quasi tutte le lingue indoeuropee: basti pensare alla forma inglese confidenziale per papà, daddy. O dada in gallese o tata in indiano.
E tatà, so per certo perchè l’ho sentito direttamente, veniva usato anche a Santeramo tanto tempo fa per indicare il papà.
Dicevo che atta è una forma particolare di tata perchè invece di ripetere la sillaba “ta”, questa viene raddoppiata nel suono consonantico e preceduta da a-.
Comunque atta dovrebbe essere il termine originario, di diretta provenienza indoeuropea. Passato poi per la lingua ittita, greca e latina. Un lungo percorso.
Il dialetto si rivela ancora una volta un giacimento incredibile di informazioni sulla nostra storia. Probabilmente dovrei pensare di leggiucchiare qualcosa in più di dialettologia 🙂
AGGIORNALMENTO 31.12.2020
A distanza di tre anni riprendo questo post per raccontare a chi mi legge alcune ulteriori scoperte che ho fatto.
Ho condiviso questo post in un gruppo di esperti ed appassionati di etimologia e molti di loro hanno apportato contributi significativi.
Ho scoperto che “atta” è anche una parola di origine turcomongola, proveniente a sua volta dalla ursprache (la lingua originale, la protolingua).
“Attila” è composto da “atta (padre) + suffisso diminuitivo “-la“, cioè “piccolo padre”. Il re degli Unni, in effetti, si chiamava probabilmente Avithohol: Attila fu il soprannome affibbiatogli dai popoli Goti dell’Est Europa che aveva assoggettato.
Mustafa Kemal Atatürk, fondatore e primo presidente della Turchia, era il “padre dei Turchi”. Aveva origini albanesi e infatti in albanese “tat” è nonno, “àti” è il padre, “tàta” è il papà.
In Albania, c’è una lapide del lll sec. a.c dove è scritto: DIELLI O ATA che in albanese di oggi si traduce letteralmente: IL SOLE È PADRE.
Ulfila, vescovo ariano, nel tradurre la Bibbia dal greco al gotico, utilizzò “Atta unsar” per “Padre nostro” proprio perché parlava ad una popolazione germanica.
Toro Seduto, il grande capo indiano, in lingua Lakota era “Tatanka Iyotake“, padre spirituale del suo popolo.
Contrariamente a quanto dicevo tre anni fa, probabilmente lo stesso “pater” latino è riconducibile alla radice “pit-pat” indoeuropea, “p-AT-er“. Da cui anche Πατήρ greco e Juppiter latino (jovis+pitar). Potremmo continuare con fATher, OTiec (in russo), o pATeras in greco moderno.
In rumeno, “tata” è papà, così come in polacco.
In Basilicata, nel nord della Calabria, nonché nella zona dell’Appenino Dauno, con “tatarann” si indica il nonno, o comunque un anziano.
In Sicilia, zona Scicli, il bisnonno è “u ratanannu”, quindi r-ATA-nannu e così in moltissime altre zone d’Italia.
Avete qualcosa da aggiungere o da suggerirmi? Errori da correggere? Ditemi pure, sarò lietissima di leggervi.
Marilena
Grazie per lo spunto sulla lingua Greca che non conoscevo.
Comunque, segnalerei anche che in lingua Turca “antenato” (e per estensione, “padre”) si scrive “Ata” con pronuncia sulla seconda “a”: quindi, “Atà” come “attàn”.
P. S.: continui ad occuparsi di cose che non interessano a nessuno. Io ho lo stesso vizio, e nella vita sono caduto perfettamente in piedi (a differenza di quelli che si occupano di cose che interessano a tutti e che oggi non contano … alcunché).
Grazie, grazie davvero per questo commento.
interessantissimo spunto!
in salentino, in effetti, babbo si dice “tata”!
Grazie per essere passata di qua, Giulia!
Ciao! Posso sapere il nome del sito di cui parlavi nel post. Anche io sono appassionato di etimologia!
Ti riferisci al gruppo Facebook?
Bellissimo!
Anche io amo tanto la ricerca anche in questo senso.
Murgia in arabo collina
U uasc (letto in barese) riposo in arabo
Namasci (andiamo) namsci in arabo
Io ho la tua stessa passione, ti capisco a pieno
Namascì = n’ am a sci’ -> n’ a(vi)m a sci(re) -> ne abbiamo ad andar(cen)e -> c’è ne dobbiamo andare. Am = abbiamo; scire = gire (fiorentino usato anche da Dante) derivante dal latino exire. I prestiti extraeuropei nelle lingue italiche continentali in realtà sono molto limitati.
Sì, su Namascì concordo molto, è abbastanza evidente.
Condivido la tua passione per i dialetti e l’origine dei termini dialettali, in particolare della nostra Puglia. Diversi decenni fa, una vita fa, dovrei dire, grande fu la mia sorpresa quando mi sono imbattuto nel termine atta/attanis studiando la traduzione in gotico della Bibbia di Ulfila per un esame universitario di filologia germanica. A quell’epoca, non mi venne in mente l’origine greca del termine e chiesi al professore, che non era pugliese, se ci fosse una correlazione tra quel termine gotico e il termine del dialetto barese per padre, visto che avevamo avuto anche una dominazione sveva nella nostra regione. Il professore mi rispose che poteva essere probabile. Anch’io, come qualcun altro che ti ha risposto, ti invito a continuare ad interessarti di cose che a molti sembrano inutili. La filosofa Agnes Heller, a proposito di quello che i giovani dovrebbero studiare nelle scuole superiori, ha consigliato, innanzitutto, solo cose inutili, come il latino, il greco antico, la filosofia, la matematica teorica. Tutte cose inutili nella vita. Il bello è, ha aggiunto, che così facendo, uno si trova, a 18 anni, con un bagaglio di sapere inutile con cui può fare tutto, mentre col sapere utile si possono fare solo piccole cose.
Innanzitutto devo scusarmi per l’imperdonabile ritardo: a causa di un problema delle notifiche del sito, non avevo avuto notizia di questo ed altri commenti. Scusami davvero tantissimo. Ti ringrazio moltissimo per aver speso del tempo a leggere il mio post e grazie mille anche del tuo consiglio: ne farò tesoro.
Io sull’origine del termine barese per indicare la figura paterna,avevo invece formulato un altra ipotesi.
Data la dominazione araba a cui bari è stata sottoposta intorno a metà dell’800 d.c,e i numerosi lasciti che si sono sedimentati nel nostro dialetto (il più famoso su tutti تابوت, traslitterato ‘tabut’,divenuto poi in barese ‘tavut’,avente lo stesso significato in entrambi gli idiomi), ho notato di una parola araba, ‘ وطن ‘, ‘watan’ ,avente accezione grammaticale maschile,traducibile in italiano come ‘patria’. Di qui ho fatto il collegamento tra le due parole.
Ipotesi un po’ azzardata,mi andava però di condividerla:)
Mi scuso anche con te, per prima cosa, per il ritardo imperdonabile. Ma, come dicevo, un problema del sito ha inibito l’invio di notifiche di nuovi commenti. Ed io non li avevo visti! Scusami tantissimo! Quanto al tuo commento: innanzitutto grazie per aver letto il mio post. Purtroppo non ho le competenze necessarie per avallare o meno la tua tesi, però mi sembra davvero una cosa molto molto interessante. D’altra parte, come tu stesso dici, è altamente improbabile che la dominazione araba non abbia lasciato tracce nel dialetto.
Anche in Albania “vatan” vuol dire patria. Ma non è una parola usata nello standard, la usa più il nord dell’ Albania. Fammi sapere se è veramente araba la parola (:
Ciao Io sono Gioiese, in dialetto Gioiese il padre è lattan, il nonno è tatarann, il lenzuolo è u ghiascion, il falò di San Giuseppe è la nofanof, l’aia per le pecore e ‘ u jazz e via dicendo, come l’ uert è l’orto.
eh sì! Grazie mille 🙂
Interessantissimo! Sto appassionandomi all’origine delle lingue anche perché mia figlia le studia all’università. Ma mi sono sempre interessate.
Fantastico! Grazie per essere stato qui!
Molto interessante quello che leggo qui. Ho appena finito di leggere il romanzo di una giovane scrittrice groenlandese, La valle dei fiori, e mi ha colpito il termine ata ata per papà; ho pensato che si trattasse di pura coincidenza, ma leggendo che potrebbe risalire a una radice turco mongola, credo che forse non sia una coincidenza, in fondo i groenlandesi possiedono caratteristiche morfologiche ascrivibili ai mongoli, caratteristiche che si ritrovano anche nella stessa etnia che risiede in Canada.
Ma davvero? Questa è una cosa che non sapevo. Grazie per il contributo e grazie per essere passato di qua!