“La valchiria” al Teatro Petruzzelli
Sono due, essenzialmente, le scene de “La Valchiria” che, chiudendo gli occhi, rivivo come fossero in questo momento davanti a me: una è, senza dubbio, la celeberrima “Cavalcata”, con la quale si apre il terzo atto.
Nell’allestimento del Petruzzelli la scena è resa in maniera talmente potente che è impossibile non ripensarci: i cavalli, enormi, l’oro, gli splendidi costumi delle valchirie. Che, con musica e voci, conferiscono alla scena una monumentalità che non ho trovato nemmeno lontanamente in altri allestimenti (ho visto su YouTube almeno altre due versioni dell’Opera).
Certo, essere a pochi metri dal palco rende l’esperienza completamente coinvolgente, però ho sentito voci molto molto più autorevoli di me esprimersi in termini simili.
La seconda scena per me memorabile è quella conclusiva, quella del cerchio di fuoco, con Wotan e Brünnhilde. Che poi sono i veri protagonisti della vicenda, i perni attorno ai quali si snoda tutta la narrazione. Questa scena mi rimane in mente perché resa in maniera tanto tecnicamente semplice quanto efficace nel messaggio.
L’ho detto più volte, io sono una profana; mi sono avvicinata al mondo dell’Opera, in maniera graduale, da circa due anni. E, prima di mercoledì, ero convinta che questa de “La Valchiria” fosse una prova “eccessiva” per me: le tematiche, il tedesco, le quattro ore e mezza, Wagner… Pensavo di uscirne sconfitta.
E invece nulla è andato come io credevo; con adeguate letture e ascolti nei giorni precedenti, ho potuto godere di ogni singolo dettaglio. Sono entrata a teatro con le idee ancora non del tutto chiare: ma poi, con lo scorrere delle ore, ogni tassello è andato naturalmente al suo posto. Tutto, mercoledì sera, ha contribuito a rendere “La Valchiria” un’Opera memorabile ai miei occhi: la (mia) scoperta di Wagner, l’orchestra impeccabile, gli artisti sul palco (che ho trovato di livello altissimo, in particolare Maida Hundeling/ Brünnhilde e Michaela Kaune/Sieglinde), le scenografie e i superbi costumi. (Ai costumi penso con particolare insistenza perché davvero magnifici. Vi mostro qui una foto presa dalla pagina Facebook della Fondazione Petruzzelli.)
Ma cos’è “La Valchiria”? “La cosa più bella che abbia mai composto”, disse Wagner.
Il secondo dei quattro drammi della tetralogia dell’Anello del Nibelungo. Fu rappresentato per la prima volta a Monaco di Baviera nel 1870: siamo in piena temperie secondo-ottocentesca, quella che -in decisa rottura con la prima metà del secolo- vede l’impossibilità, non solo dell’uomo, ma addirittura del dio (Wotan) di dominare il proprio destino. Wotan ha commesso l’errore di aver creato un mondo basato su regole e contratti, che vincolano persino lui; lui che, stretto dalla logica stringente di Fricka (sua moglie), è costretto a chiedere a Brünnhilde di abbattere suo figlio Siegmund.
La trama è complessa e molto affascinante, intrisa di simbolismi e di rimandi, filosofici, psicologici, politici. Questa non è la sede giusta per parlarne, anche perché io ne sarei in grado in maniera molto limitata. Però: vi dovesse capitare l’occasione di poter vedere “La Valchiria”, fatelo. Fatelo perché non è inaccessibile, se siete pronti ad accoglierne la magnificenza. Fatelo, concedetevi queste quasi 5 ore lontano da tutto e lasciatevi trasportare.