I Beni Culturali ai tempi della pandemia
A partire da oggi, e per le prossime domeniche, mi piacerebbe condividere con voi alcune osservazioni circa quanto accaduto nell’ultimo anno nel settore della Cultura e dei Beni Culturali.
Gli ultimissimi mesi hanno stravolto e cambiato i concetti di fruizione e valorizzazione: le chiusure forzate causate dal Covid-19 hanno spinto gli addetti ai lavori a cercare delle soluzioni tecniche che consentissero una fruizione del patrimonio in sicurezza e a distanza.
L’idea di Arte come oggetto alla portata di tutti assume ora un significato ancora più pregnante: il web, durante i mesi di lockdown, ha aiutato davvero alla conoscenza del patrimonio e ne ha ampliato il pubblico? Può essere, questo, l’inizio di una “democrazia digitale”, che consenta un accesso alla Cultura davvero ad ampio spettro ampliando il concetto di “bisogno culturale”?
Il “Bisogno culturale” infatti, come sosteneva Pierre Bourdieu, funziona in maniera opposta rispetto ai bisogni cosiddetti primari: ossia più si “pratica” cultura, più si partecipa, più il bisogno aumenta e si cerca di soddisfarlo. Chi invece non è abituato a praticare cultura, non avverte il bisogno; per sentirne la necessità, dovrebbe avere consapevolezza dell’Arte e della Cultura in senso ampio. Certamente un circolo vizioso.
Insomma, il bisogno culturale non è innato ma deriva dall’ “habitus di classe”, cioè da un sistema interiorizzato di disposizioni sociali. Bordieau ha sottolineato come coloro che hanno un livello di istruzione più elevato (per tradizione familiare o per attitudine personale) riescano a comprendere di più i codici che caratterizzano le opere d’arte e siano in grado di allontanarsi da ciò che l’industria culturale del momento cerca di imporre. Un livello culturale più basso, invece, predilige contenuti facilmente riconoscibili, disdegnando le sperimentazioni.
Detto questo, ho deciso di fermarmi a riflettere su se e come la pandemia possa aver contribuito ad ampliare il bisogno culturale. Un altro dei principi introdotti da Bordieau, infatti, è quello secondo il quale uno scarso potere economico (per pagare mezzi di trasporto, per pagare biglietti) contribuirebbe ad uno scarso livello di conoscenza a causa della mancata possibilità di raggiungere materialmente i luoghi della Cultura.
La politica culturale delle istituzioni nei periodi di pandemia
Non solo il MIBACT ha colto l’occasione per sperimentare nuove forme di fruizione ma anche tanti altri enti hanno sviluppato una progettualità che ha visto la rete come mezzo di comunicazione privilegiato. Si è, insomma, trasformato il momento di emergenza in una occasione per provare a mettere in campo nuove e più efficaci forme di comunicazione culturale.
Le iniziative digitali si dividono fondamentalmente in due fasi: quelle del primo lockdown (tra marzo e maggio) e quelle del secondo, dal 5 novembre al momento in cui scrivo. Sebbene numerose in entrambi i casi, a mio avviso le iniziative del secondo lockdown si rivelano più strutturate, più organizzate rispetto a quelle del primo periodo; è evidente che, nella prima fase, le circostanze emergenziali non abbiano consentito una pianificazione puntuale delle attività digitali.
La settimana prossima proviamo a passare in rassegna alcune tra le più significative esperienze messe in campo.