Beni Culturali e pandemia: un’indagine tra i fruitori
Ciao e ben ritrovati a questo appuntamento col mio resoconto di quanto accaduto nell’ultimo anno sul fronte Beni Culturali/pandemia/fruizione.
Nello scorso post ho raccontato alcune delle iniziative più significative messe in atto nel corso del 2020 per avvicinare Patrimonio Culturale e pubblico in epoca di lockdown. Scorrendo questa lista di eventi, si può valutare come, in un momento di emergenza, si sia messa in atto una forma di comunicazione più completa, inclusiva e integrata.
È nata così l’idea di fare un’indagine: ho chiesto ad un campione di frequentatori abituali di luoghi della Cultura che cosa pensassero di questo genere di fruizione; se queste iniziative abbiano funzionato; se siano riuscite, in qualche modo, ad accorciare le distanze tra gli italiani e il loro patrimonio; se si siano preferite alcune iniziative piuttosto che altre. Se il consumo digitale, insomma, può diventare una valida alternativa alla conoscenza ed alla fruizione dei Beni culturali anche una volta passata l’emergenza sanitaria.
Progettazione del questionario e risultati ottenuti
Il questionario consta di 20 domande in totale, anche se il paniere poteva variare di volta in volta a seconda delle opzioni scelte. Ho sottoposto, a partire dall’8 novembre 2020 e per i giorni successivi, il questionario ad un target vario, per età, per collocazione geografica e per occupazione. Ho ottenuto, nell’arco di una settimana, oltre 600 risposte. Devo rilevare, primariamente, che il maggior interesse nella compilazione del questionario lo hanno dimostrato fruitori, utenti, simpatizzanti del mondo dell’Arte e della Cultura; molto meno gli addetti ai lavori. È già questo, di per sé, un elemento utile alla riflessione.
Il test, in prima battuta, chiedeva se si fosse fruitori abituali dei luoghi della Cultura: solo in caso di risposta affermativa era data la possibilità di proseguire. E il 77% di chi ha risposto ritiene di esserlo.
Quanto alla provenienza geografica, ho ottenuto risposte da tutte le regioni d’Italia con una leggera prevalenza di due aree geografiche: la Puglia, per ovvie ragioni, e la Lombardia. La fascia d’età maggiormente rappresentata è quella tra i 46 e i 65 anni, con una nettissima prevalenza di insegnanti (quasi il 58%). Il 96% possiede uno smartphone, l’89% un pc personale e quindi non in condivisione con altri e il 75% dispone di una connessione internet ad alta velocità: insomma, la copertura internet e gli accessi agli strumenti raggiungono la popolazione in maniera ormai capillare; i presupposti per la fruizione digitale ci sono tutti.
Di chi ha risposto al questionario, ben l’87% era a conoscenza del fatto che, durante il lockdown, molti musei avessero attivato un’offerta digitale.
Anche se, poi, solo poco più della metà ne ha effettivamente usufruito.
Tra tutte le attività digitali proposte, e quindi talk, spettacoli, concerti, le più seguite sono state i tour virtuali: addirittura il 90% degli intervistati si è espresso in questo senso.
Ho chiesto, poi, quale fosse stato il rapporto degli intervistati coi luoghi della Cultura durante la loro apertura, tra maggio e novembre; mi interessava, insomma, comprendere se – nonostante l’emergenza sanitaria ancora in atto- si percepisse quella di visitare musei e gallerie come una esigenza reale. Ebbene, il 37% degli intervistati ha risposto di non aver visitato luoghi della Cultura in attesa di comprendere l’evoluzione della situazione sanitaria. In compenso, quasi il 30% ha frequentato luoghi della Cultura, sebbene ponendo attenzione a non creare assembramenti. Un 11% vi si è recato senza crearsi problemi. Viene fuori, come vediamo, che la stragrande maggioranza degli intervistati non si è lasciato intimorire dal Covid-19 e, con le dovute misure di sicurezza, ha continuato a visitare musei, parchi archeologici, ecc.
Non appena ne hanno avuto la possibilità, e presumibilmente durante le vacanze estive, gli intervistati hanno visitato moltissimi luoghi, dai più blasonati a quelli più defilati; un buon successo, nell’intervista, ha riscosso la mostra di Raffaello alle Scuderie del Quirinale per i 500 anni dalla nascita del ‘Divin Pittore’; e poi Paestum, Castel del Monte, Pinacoteca di Brera, piccoli centri storici, la Pinacoteca Giaquinto di Bari, Santa Maria di Agnano ad Ostuni, il Giardino di Bomarzo e così via. Stessa cosa dicasi per le intenzioni di visita non appena sarà nuovamente possibile: gli intervistati vorrebbero visitare Galleria Borghese e Musei Vaticani, il Museo Egizio di Torino, il MAST di Bologna, il MANN di Napoli, Palazzo della Marra a Barletta, Napoli Sotterranea, il Colosseo, la Pinacoteca Ambrosiana, la Certosa di Padula, il Musma di Matera. Ma sono davvero tantissimi i luoghi citati, segno che c’è voglia di riscoprire il patrimonio e che questa non è un’esigenza trascurabile.
In contrasto con questo, però, c’è che la maggior parte degli intervistati non pagherebbe per fruire di contenuti digitali, fatta eccezione per i tour virtuali, per i quali la maggior parte sarebbe disposta ad investire una piccola cifra. Podcast e videoracconti, invece, che ho sottoposto agli intervistati, non suscitano molto interesse o comunque non tanto da fruirne a pagamento.
Di conseguenza, solo una piccola parte degli intervistati sostiene di voler certamente continuare a fruire di questi contenuti oltre il lockdown: parliamo di una percentuale che si aggira intorno al 21%.
Questa parte del questionario sembra parlare abbastanza chiaro: sebbene la voglia di frequentare luoghi delle Cultura non sia venuta meno durante il lockdown, mi sembra evidente che la maggior parte degli intervistati non ritenga quella del digitale una valida alternativa. O meglio, la considera tale nell’impossibilità di un contatto diretto ma, nella scelta tra visita reale e visita virtuale, la prima opzione ha sempre la meglio.
Si è trattato, in questo momento storico, di un processo di informatizzazione forzato e rapido, che ha senz’altro funzionato per certi aspetti ma che, comunque, non è sostitutivo di un rapporto “fisico” con i Beni Culturali. È, questo, un risultato coerente per frequentatori abituali dei luoghi della Cultura ma occorre rilevare un gap tra la fascia dei maggiori utilizzatori di nuove tecnologie a 360 gradi, i più giovani, e la fascia di chi visita di più i luoghi della Cultura, che è quella degli over 45. Probabilmente tra qualche anno il gap si colmerà in maniera naturale. Certamente, comunque, il lockdown ha dato una forte spinta al settore digitale della Cultura: è emerso, infatti, che molti, proprio in questo periodo, hanno iniziato ad utilizzare piattaforme di fruizione online.
Nella parte finale del questionario, ho provato a introdurre il concetto di museo diffuso: mi interessava comprendere quanto, mediamente, il museo diffuso fosse conosciuto, quantomeno dai fruitori abituali dei luoghi della Cultura. Ebbene, è emerso che quasi il 60% degli intervistati conosce questa forma di museo.
Alla mia domanda circa quale possa essere il valore aggiunto che un museo diffuso potrebbe apportare al mondo dei musei in genere, le risposte sono varie ma parlano tutte di un contributo positivo al settore. Si ritiene, per esempio, che un museo diffuso possa aiutare a promuovere un territorio più ampio, che possa incuriosire e divertire il visitatore, che possa essere maggiormente connesso al territorio, che possa consentire di fruirne in maniera più dinamica rispetto ad un museo tradizionale. Insomma sembra esserci apertura rispetto a forme di visita più ampie e comprensive di luoghi e contesti diversi.
Ne parliamo in maniera più approfondita nel prossimo post.
Raccontatemi pure cosa ne pensate, mi piacerebbe parlarne con voi.
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